Perdonare noi stessi e gli altri è un dono divino che ci porta pace interiore e ci avvicina al nostro Salvatore.
Il perdono sembra inafferrabile e, a volte, cercarlo produce stress, ansia e forse anche panico. Perché? Perdonare se stessi e gli altri è davvero un compito difficile. Spesso crea frustrazione, pertanto udire o percepire la voce dello Spirito Santo diventa più difficile, perché la nostra mente è occupata da pensieri carichi di ansia. Se siamo preoccupati possiamo non sentire affatto il tocco dello Spirito.
Lo studio e la meditazione delle Scritture, vi riveleranno come è possibile conoscere e sentire l’essenza del perdono e cosa, invece, non la rappresenta. Una volta appresi questi concetti, iniziate a rendervi conto di come l’abbandono del risentimento possa essere una profonda guarigione, che porta pace al vostro cuore turbato. Se riusciremo a trovare il perdono nel nostro cuore per coloro che ci hanno danneggiato e ferito, ci eleveremo ad un livello più alto di autostima e di benessere.
Per comprendere meglio cosa significa perdonare gli altri, può essere utile capire che cosa non implica il perdono.
Per prima cosa, non dovete necessariamente fidarvi della persona che avete perdonato, una volta completato il processo di perdono. Ad esempio, immaginiamo che voi abbiate un bel paio di scarpe da corsa; io le desidero così tanto che decido di rubarvele. Poco tempo dopo, mi sento in colpa per il furto, così vi restituisco le scarpe, implorando il perdono. Voi me lo concedete e io me ne vado per la mia strada. Ma supponiamo che mi rivolga di nuovo a voi chiedendovi di prendere in prestito quelle scarpe. Con esitazione, mi dite di avermi perdonato, ma che avete bisogno di un po’ di tempo prima di potervi fidare di nuovo di me. Spesso c’è bisogno di tempo per guarire e fidarsi.
In secondo luogo, non dovete giustificare il comportamento inappropriato della persona tenendo in considerazione le circostanze della sua vita. Nell’esempio delle scarpe rubate, è importante non dirmi: “Va bene che tu abbia rubato le scarpe. So che hai passato un momento difficile”. Giustificare un comportamento inappropriato permette all’individuo colpevole di evitare di assumersi la responsabilità delle azioni che richiedevano il perdono in primo luogo.
Il terzo punto è che perdonare non significa che l’altra persona possa determinare come vi sentite. Perdonare significa rendersi conto che siete voi a determinare i vostri sentimenti gestendo i vostri pensieri e agendo come un vero discepolo di Cristo. Di nuovo, nell’esempio delle scarpe rubate, se mi diceste di perdonarmi, ma poi provaste risentimento ogni volta che mi vedete, sarebbe ovviamente necessario un senso del perdono più profondo.
In quarto luogo, il perdono non richiede un rapporto stretto con la persona che è stata perdonata. Il perdono è un processo interiore che richiede l’abbandono del risentimento. Non significa necessariamente elevare la persona perdonata allo stato di un caro amico o collega. Con alcune persone che incrociano il cammino della nostra vita, è appropriato amarle da lontano.
In quinto luogo, il perdono non richiede che la persona perdonata si scusi. Si tratta della responsabilità di quella persona. Quasi tutti abbiamo bisogno di tempo per elaborare il dolore e il lutto. Possiamo trovare ragioni di ogni sorta per rimandare il perdono. Una di queste è aspettare che chi ha sbagliato si penta prima di perdonarlo. Questo rinvio, però, ci priva della pace e della felicità che potremmo invece ottenere. La stoltezza di continuare a pensare alle vecchie ferite non porta felicità.
La capacità di perdonare gli altri cresce in proporzione alla nostra capacità di perdonare noi stessi. Alcuni però ritengono che perdonare se stessi sia difficile. Se continuano a punirsi con pensieri negativi riguardo ai peccati dei quali si sono pentiti, inconsapevolmente impediscono al potere dell’Espiazione del nostro Salvatore di purificarli dagli effetti negativi dell’autocondanna.
C’è qualcosa in molti di noi che [ci impedisce in modo particolare] di perdonare e dimenticare gli errori commessi nella vita: sia i nostri errori che quelli degli altri. Non va bene. Non è una cosa cristiana. È una cosa in assoluta opposizione alla grandezza e alla maestà dell’Espiazione di Cristo. Essere legati a errori passati è il modo peggiore di rivoltarsi nel passato, dal quale invece siamo chiamati ad allontanarci.
Come recita un famoso detto: “Ogni volta che il diavolo ti ricorda il tuo passato, tu ricordagli il suo futuro!”.
“Ma che cosa posso fare davvero per perdonare me stesso?”
Per prima cosa dobbiamo accettare la verità che il Signore Gesù Cristo ha già sofferto per i nostri peccati. Punire noi stessi è un’impresa improduttiva e persino distruttiva! In secondo luogo, non dobbiamo solo credere nel Salvatore, ma anche credere a Lui. Nostro Signore
ha sofferto queste cose per tutti, affinché tutti noi non soffrissimo, se ci saremmo pentiti. Il Salvatore ci ha ammonito dicendoci di perdonare, quindi, non perdonando noi stessi o gli altri, potremmo trovarci prigionieri del falso presupposto che la nostra sofferenza possa in qualche modo redimerci meglio della sofferenza del Signore. Questa presunzione è legata all’orgoglio e ci pone nel pericolo di seguire l’avversario invece che consentirci di confidare nel potere guaritore dell’Espiazione del nostro Salvatore. Non dobbiamo aspettarci di dimenticare ciò che abbiamo fatto di sbagliato, ma possiamo, con il tempo, dimenticare il dolore del risentimento e dell’autocondanna.
Essere in grado di perdonare è un dono divino e il suo valore non può essere misurato. La sua ricompensa è una pace interiore che alla fine ci avvicina al nostro Salvatore. Nel nome di Gesù. Amen
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